Cartografia

LA CINA NELLA CARTOGRAFIA EUROPEA DEI SECOLI XV-XVII*

Filippo Bencardino **

Alla metà del nostro millennio 1'Asia in generale e la Cina in particolare apparivano agli Occidentali terre ancora in larga parte inesplorate, sconosciute nelle loro articolazioni interne e poco note anche nei loro lineamenti generali, quasi impenetrabili e irraggiungibili, tanto che venivano illustrate facendo ricorso alla mitologia, alle fonti classiche ed erano descritte come abitate da popolazioni mostruose che ne impedivano la penetrazione, nonostante che l'attività esploratrice dei viaggiatori medievali, missionari e mercanti, avesse già provveduto a partire dal XVIII secolo a riallacciare il dialogo tra Occidente ed Oriente, ormai da tempo interrotto.

Allo sviluppo dei rapporti tra Occidente ed Oriente giovȯ, subito dopo la caduta dell'Impero Romano la diffusione della fede cristiana; a partire dalla fine dell'Impero dei Sassanidi tra i due mondi si interposero, ora come un ostacolo, ora come un ponte le comunità dei cristiani nestoriani, la cui fede si era diffusa dal Mediterraneo orientale fino alla Cina, come dimostrano molti ritrovamenti archeologici(1).

Tuttavia, la conversione dell'Ilkhanide Ghazan all'islamismo e, soprattutto, la peste del XIV secolo, che investì molte comunità nestoriane, indebolirono il movimento religioso provocando l'arresto della sua espansione territoriale e, successivamente, il suo arroccamento in centri isolati e difficilmente raggiungibili, specie nell'Asia centrale e in Mongolia. Ne scaturi una progressiva conversione di molti fedeli all'islamismo, soprattutto in seguito alle azioni promosse dal sovrano turco-mongolo Timur-lenk, detto il Tamerlano, e degli sciiti della Persia.

Nel fra tempo e come è ben noto, l' invasione mongola dell' Europa orientale, aveva spinto Innocenzo IV ad avviare relazioni diplomatiche con i "barbari", con il fine - fra l'altro - di promuovere la diffusione della fede cattolica fra quelle popolazioni.

Anche le vicende successive sono abbastanza note: questa nuova politica, ratificata tra 1'altro dal Concilio di Leone del 1245, portȯ all' invio in Oriente di due ambascerie, una delle quali guidata da Giovanni da Pian del Carpine. Questi parti da Lione nello stesso ano del Concilio e giunse fino a Caracorum, in Mongolia. La sua missione diplomatica e religiosa non incontrȯ tuttavia il successo sperato, poiché Gujuk Khan richiese un formale atto di sottomissione del pontefice come momento preliminare ad ogni futura relazione diplomatica. L' esperienza, pur fallimentare sul piano religioso e politico, ebbe importante riflessi per la conoscenza dell' Oriente. Giovanni da Pian del Carpine riferì infatti, nella Historia Mongolorum, recentemente ripubblicata, le sue esperienze di viaggio (2).

A questa prima ambasceria seguirono altre missione esplorative su iniziativa di Luigi IX e di Innocenzo IV; tra queste meritano di essere ricordate quelle condotte da Nicola Ascelin, Lorenzo di Portogallo, Andrea di Longjumeau, Guillaume de Rubrouck, Simone di San Quintino, Guy e Jean de Carcassone. Sulle loro tracce si avviarono presto anche i mercanti, che iniziarono una prima penetrazione verso l'interno del continente.

Tra i viaggi di impronta mercantile che caratterizzarono quell'epoca si distinguono su tutti quelli di Marco Polo, i quali diedero una decisiva svolta alle conoscenze sull'Oriente, soprattutto in seguito alle diffusione di notizie relative all'accoglienza del veneziano presso la corte mongola, che favorirono così l'invio di nuove missioni religiose, come quella di Giovanni de Montecorvino (1278), e la fondazione di un arcivescovado in Cambaluc (Pechino), l'allora capitale della Cina. Importante fu anche il ruolo di Odorico da Porderone, che ci ha lasciato l'importante opera, Descriptio orientalium partium ; di Giovanni de' Marignolli, come anche di quei missionari che, pur non lasciando documenti scritti, contribuirono comunque, attraverso testimonianze orali, alla diffusione di notizie di carattere geografico e, in senso più ampio, culturale sulle terre orientali.

La famiglia Polo possedeva, come è noto, banchi e fondaci nei principali centri commerciali del Mediterraneo orientale e del Mar Nero. Da Soldaia (l' odierna Sudak), nella Crimea, nel 1261 i fratelli Nicolȯ e Matteo si inoltrarono verso l'interno dell'Asia per intercettare le preziose mercanzie che da lì giungevano sulla costa mediterranea. A Buchara, grosso centro commerciale dell'odierno Uzbekistan, sul basso corso del fiume Zeravsan, si fermarono per tre anni, per poi giungere, accompagnandosi ad una missione mongola e attraversando il cuore dell'Asia, nella sua parte orientale.

I fratelli Polo trascorsero in Oriente otto anni, facendo poi ritorno a Venezia con una missiva del Gran Can indirizzata al papa, nella quale egli chiedeva l'invio in Cina di esperti con i quali confrontare la religione dei due paesi. Due anni dopo il loro rientro in patria essi presero di nuovo la via dell'Oriente, accompagnati questa volta dal figlio quindicenne di Nicolȯ, Marco, orfano della madre.

Da Lajazzo, nei pressi dell'odierna Iskenderun, sulla costa meridionale della Turchia, attraverso l'Anatolia giunsero a Trebisonda, sulla costa del Mar Nero, e da qui, attraverso l'Armenia a Tabriz. In direzione sud si diressero verso lo stretto di Hormuz, per ripiegare successivamente verso nord fino al Kerman e a Kashgar. Il successivo itinerario; attraverso aspre regioni montuose (come l'Hindu ed il Pamir) e altre desertiche (o predesertiche) li portȯ nella valle del Fiume Giallo e infine di nuovo a Cambaluc.

Si trattȯ di un viaggio durato oltre tre anni e mezzo, in larga parte di carattere esplorativo, attraverso un territorio del tutto sconosciuto agli Occidentali. Tuttavia, arrivati a Cambaluc, Marco lasciȯ i due fratelli ai loro affari e cominciȯ ad appagare il suo desiderio di conoscenza, che lo avrebbe portato a viaggiare attraverso tutta la Cina, lasciandosi apprezzare dal Cublai per la sua capacità di attento osservatore del paese, al punto che questi gli affidȯ delle missioni che lo portarono, oltre che in numerose località dell'Impero, perfino in Birmania e forse anche in India.

Dopo diciassette anni di permanenza in Cina Marco Polo fece ritorno in patria con una grande esperienza e notevoli conoscenze che gli consentirono di dettare nel 1298 al suo compagno di prigionia Rustichello da Pisa Le Meraviglie del Mondo, meglio note come Il Milione, un testo che diede per oltre due secoli nuova luce e apri nuove prospettive sulla conoscenza e sulla rappresentazione cartografica della Cina.

Nessuna testimonianza scritta invece è rimasta dei viaggi e della presenza in Cina, in questo periodo mongolo, del genovese Andalȯ di Savignone, che deve aver soggiornato a lungo in quel paese come mercante, giungendo alla residenza del Gran Can e ripartendone verso Occidente, da lui incaricato di una missione.

Di 1ì a poco, nel 1368, l'ascesa della dinastia Ming, spodestando quella mongola degli Yuan (元), avrebbe portato a ristabilire in Cina le istituzioni e gli ordinamenti tradizionali, all'allontanamento di ogni traccia della dominazione precedente e quindi, con 1'affermarsi del nazionalismo, anche alla messa al bando del cristianesimo, tollerato da quella dinastia. Ne scaturì una nuova fase di chiusura nei rapporti tra Occidente ed Oriente, l'interruzione delle relazioni commerciali e l'indebolimento delle missioni, che si fecero ora meno sicure. La sede di Cambaluc, assegnata da papa Urbano V nel 1370 a Guillaume del Prato di Parigi, ebbe da allora in poi carattere puramente nominale. Lo smembramento dell'impero mongolo e le lotte interne che seguirono nonché l'avanzata degli Ottomani contribuirono a rendere ancora più sporadici i rapporti tra Europa e Cina.

In questo periodo le relazioni commerciali fra Occidente ed Oriente erano possibili, per gli europei, soltanto attraverso l'Egitto ed il Mar Rosso, ma venivano ostacolate dai sultani, che intendevano consolidare i benefici economici che il quadro politico assicurava ai loro paesi. Di fatto, la interruzione dei contatti con l'Asia centrale ed orientale sarebbe durata fino a tutto il XV secolo. Di conseguenza, in questo periodo molto limitata è stata l'acquisizione di nuove conoscenze sull'Asia orientale, nonostante non fossero mai del tutto venuti meno i tentativi di penetrazione.

L'interesse verso quei paesi lontani venne ravvivato nel XV secolo dai viaggi di Niccolȯ de' Conti che, partito da Damasco nel 1414, attraverso la Mesopotamia raggiunse l'India, la Birmania, Giava, il Borneo e l'Indocina, lasciandoci la narrazione delle sue avventure riferite nella Historia de varietate fortunae di Poggio Bracciolini.

Perché l'Oriente si apra nuovamente a contatti più solidi con l'Europa bisognerà comunque attendere l'inizio del XVI secolo, i viaggi di Ludovico di Varthema (1502-1508) e le imprese di Alfonso di Albuquerque, che nel 1511 avrebbe esteso l'egemonia portoghese sui mari orientali e sulle terre da loro bagnate.

Fino ad allora, nonostante la diffusione de Il Milione e le opere di erudizione medievali, il concetto cartografico di Oriente resterà vago, la conoscenza dell'Asia imprecisa e limitata, tanto che i confini del continente venivano fatti coincidere con i luoghi della Terra Santa.

Del resto, gli stessi viaggi medievali e le opere letterarie da essi scaturite non avevano avuto ampia diffusione, circolando soprattutto all'interno degli ambienti ecclesiastici e della corte francese; solo in parte, dunque, tali opere si erano rivelate come nuovi strumenti per un aggiornamento delle conoscenze classiche. Più ampia diffusione avevano avuto invece le opere fantastiche, come per esempio i Viaggi del Mandeville, perché meglio si adattavano alla cultura ed al tradizionalismo della scienza medievale, dominata dalle concezioni tolemaiche e dei Padri della Chiesa.

Maggiore apertura e più vasta diffusione ebbero pure le notizie acquisite dai mercanti. Le loro informazioni, di impronta più pratica, trovavano facile accoglienza presso i cartografi, che le trasformavano in rappresentazioni grafiche attraverso le carte nautiche. Per lo stesso motivo ebbero ampia fortuna opere come la Pratica della Mercatura di Francesco Balducci Pegolotti, una guida compilata nel 1340 indirizzata agli europei che intrattenevano traffici con l'Asia. In quest'opera l'autore descrisse le vie carovaniere, le monete, le misure, i prodotti commerciali dei paesi dall'Egitto al Catai. Simile fortuna ebbe anche il Liber Secretorum Fidelium (Sanctae) Crucis di Marin Sanudo il Vecchio, libro in cui per i principi europei venivano descritte le condizioni morali, politiche ed economiche degli stati musulmani d'Oriente.

Gli autori classici restarono, perȯ, tra XIV e XV secolo ancora la fonte principale per la conoscenza geografica dell'Oriente e ciȯ trova conferma, oltre che nelle opere descrittive, soprattutto nella cartografia, che solo raramente usufruì delle nuove informazione a causa della tendenza delle corti europee a mantenere segreti, per motivi economici e politici, molti dei risultati dei viaggi di esplorazione; ciȯ nel quadro della decadenza della cultura geografica nel Medioevo (specie nell'Alto Medioevo).

I centri culturali maggiori erano stati infatti per lungo tempo i monasteri, dove gli studi naturali erano limitati, mentre prevalevano le speculazioni astratte, filosofiche o l'interesse verso i problemi morali e religiosi. Esemplificativo in proposito è quanto dice San Basilio nel suo Commento all'Exaemeron: "che importa di sapere se la Terra è una sfera, un cilindro, un disco o una superficie curva; ciȯ che importa è di sapere come debbo comportarmi verso me stesso, verso gli uomini, verso Dio" (3).

E così, per le questioni cosmologiche o geografiche, le fonti principali restavano le Sacre Scritture, e si arrivava a negare la sfericità della Terra, l'esistenza degli antipodi, l'abitabilità della zona torrida.

La cartografia scientifica, che pure con i greci aveva fatto progressi decisivi, subì in quel periodo un arretramento notevole: scomparve qualsiasi sistema di coordinate di riferimento, i rapporti fra le superfici diventarono irreali così come le distanze fra i punti. E questo perché la carta medievale non aveva lo scopo di rappresentare il reale, di illustrare graficamente il mondo conosciuto o di diffondere le nuove acquisizioni, ma di riflettere le speculazioni teologico-filosofiche, attraverso, per esempio, la raffigurazione del paradiso terrestre o la collocazione del l'est in alto nella carta.

LE INFLUENZE DEI VIAGGIATORI MEDIEVALI NEI MAPPAMONDI DEL XIV-XV SECOLO

Solo lentamente la cultura abbandonerà i monasteri e si libererà dai vincoli mistico-religiosi; allora i mappamondi, prevalente prodotto cartografico fino al XVI secolo, diventeranno meno schematici, più ricchi nei cartigli oltre che nei contenuti. Bisognerà tuttavia attendere i primi decenni del Trecento perché comincino a sentirsi i riflessi dei primi viaggi di missionari e mercanti, di Giovanni da Pain del Carpine, di Guillaume de Rubrouck e soprattutto di Marco Polo, nei prodotti cartografici della scuola catalana, nelle carte fiorentine e genovesi e, in maniera più concreta il XV secolo, con l'Atlante di Fra Mauro.

Nella cartografia pre-poliana, infatti, l'Asia estremorientale o manca del tutto o è presente sulla base di elementi fantastici. Nel Mappamondo di Hereford, collocabile alla fine del Duecento, l'Asia appare divisa in quattro grandi regioni, una settentrionale (Scizia), una estremo-orientale (India), una meridionale (Asia ulterior, comprendente la Nubia e l'Egitto), una occidentale (Asia citerior o minor). Della Cina non vi è ancora nessuna traccia; soltanto i Seres, gli abitanti del paese della seta, sono indicati sulla carta e collocati nella Scizia, mentre nell'altro importante mappamondo del XIII secolo, detto di Ebstorf, essi sono localizzati accanto al paradiso terrestre.

Solo nel secolo successivo, nel mappamondo di Fra Paolino Minorita disegnato per essere annesso al trattatello geografico De Mapa Mundi cum trifaria orbis divisione (1320 c.) e successivamente ripreso da Marin Sanudo per illustrare nel 1321 a papa Giovanni XXII un progetto di crociata (4) si puȯ cogliere un certo cambiamento. Attraverso questo esemplare possiamo agevolmente vedere come il planisfero si arricchisca ora di nuovi contenuti e, pur non privo di elementi tradizionali, esprima la modernità attraverso l'assenza di elementi fantastici, come il riferimento al paradiso terrestre. Compaiono invece per la prime volta indicazioni sul Catai o sul Gran Can: incipit regnum cathay e hic stat magnus Canis. Si cominciano, cioè, ad avvertire le prime influenze poliane, che permarranno nella cartografia europea fino a tutto il XVII secolo.

Indicazioni tratte da Il Milione si trovato alla fine del Trecento anche nei prodotti cartografici catalani, tra i quali si segnala quello del maiorchino Iafuda o Abramo Cresques (1375 c.). In quest'opera, non solo la toponomastica e le leggende sono di fonte poliana, ma addirittura alcuni passi tratti dal testo del Veneziano sono inseriti nella carta come didascalie.

Como è noto, quest'opera fu commissionata da re Pietro d'Aragona per Carlo V di Francia ed è conservata alla Biblioteca Nazionale di Parigi, essendo di volta in volta indicata come "mappamondo catalano", "mappamondodi Carlo V" o "mappamondo ~$ae o Atlante ~$ae di Parigi". In essa, insieme ad una più corretta rappresentazione delle penisole indiana ed arabica, compaiono l'indicazione del Catai con le sue province meridionali, nomi di città, regioni, fiumi e isole che appunto rimandano a Il Milione.

Inoltre in questo "mappamondo" per la prima volta viene rappresentata l'intera Asia in quattro delle dodici tavole che lo compongono ed anche qui, accanto ad elementi della classicità, troviamo inserite conoscenze moderne derivate dalla fonte poliana, ma anche dall'esperienza araba, mediata attraverso gli Ebrei, allora presenti in numero consistente nella penisola iberica.

In questo periodo sviluppo notevole ebbe soprattutto la cartografia nautica che, proprio per le sue finalità pratiche, più celermente riusciva a recepire le nuove conoscenze, ponendosi a sua volta come fonte di informazione originale per la cartografia geografica.

Fu infatti (e in tempi anteriori) il Vesconte a inserire per la prima volta nella sua Mappa mundi elementi tratti dalla cartografia nautica e si trattȯ di una intuizione che venne successivamente sviluppata dai catalani. La produzione cartografica, che in questo periodo attinse alle carte nautiche oltre che Il Milione per la rappresentazione dell'Asia orientale, si fece così più consistente e registra tra gli altri il mappamondo d'Albertin de Virga (Venezia, 1411-15), l'anonimo mappamondo catalano del 1450 c., il mappamondo d'Andreas Walsperger (1448), il mappamondo di Giovanni Leardo (nella edizione del 1453), i mappamondi di Francesco Rosselli, di Enrico Martello (1490) e di Martino Behaim (questi ultimi unici esempi di mappamondi non tolemaici del XV sec. che presentano indicazioni di latitudine), e infine il mappamondo anonimo del 1457, chiamato anche «carta del mondo genovese», perché vi si trovano disegnate nell'angolo superiore sinistro le armi della Repubblica di Genova e messi in bella evidenza i suoi possedimenti.

Con il N in alto e l'ecumene allora conosciuto circondato dal mare, questo mappamondo presenta l'Asia ben disegnata, anche se enormemente estesa verso est secondo la tradizione tolemaica. In essa è inserito il Cathay ed una figura indicata come «Rex Cambalich, hic est Magnus Canis». Come è noto, tale documento fu in passato ed erroneamente identificato con la «carta navigatoria» di Paolo Dal Pozzo Toscanelli e divenne perciȯ notissimo agli studiosi di storiografia colombiana.

Il riferimento alla tradizione classica e medievale in questa fase non è del tutto abbandonato, come si avverte anche nell'anonimo Mappamondo Borgiano databile attorno al 1430, dove si fa ancora ricorso a leggende come quella di Gog e Magog e alla rappresentazione del paradiso terrestre; ma le carte cominciano ad abbandonare in maniera sempre più decisa gli elementi fantastici ed irreali.

Un passo decisamente in avanti in questa direzione è rappresentato dal già citato Mappamondo di Fra Mauro, che segna la transizione dalla cartografia medievale a quella rinascimentale. Le fonti sono da ricercarsi nelle esperienza dei viaggiatori e nella cartografia nautica, oltre che in quelle classiche, come era del resto già avvenuto per la realizzazione di altre rappresentazioni; ma la versa novità è rappresentata dal fatto che Fra Mauro accorda maggiore attendibilità alle prime fonti piuttosto che alle seconde.

Il mappamondo, orientato con il S in alto, rappresenta le tre parti dell'ecumene allora conosciuto, Europa, Africa e Asia; all'Asia viene assegnata una estensione decisamente maggiore rispetto alle altre parti, compresa tra 45° e i 208° di longitudine e gli 11° e i 77° di latitudine boreale. Ad est è rappresentato il Cataio, formato dalle sette province settentrionali della Cina; i cartigli esplicativi sono numerosi, i profili dei continenti e la posizione relativa ben disegnati e gli unici elementi presenti sono di carattere geografico: monti, strade, fiumi, mari, porti, vedute di città.

Con il mappamondo di Fra Mauro, sintesi delle conoscenze del suo tempo, la Cina appare meno fantastica ed irraggiungibile; e la stessa tecnica del disegno, pur rifacendosi a quella delle mappae mundi trecentesche, abbandona la rozzezza della cartografia medievale.

I VIAGGI DI ESPLORAZIONE E LA CARTOGRAFIA DI IMPRONTA TOLEMAICA

All'aprirsi del XVI secolo il progresso nel campo della cartografia geografica se fece più evidente. A favorirlo intervennero fattori diversi come il generale sviluppo della scienza, delle arti, della tecnica e dell'economia, che, insieme all'invenzione dei caratteri mobili della stampa e ad una più concreta disponibilità agli investimenti da parte di stampatori e mecenati, favorirono una maggiore produzione e diffusione del prodotto cartografico; ma su tutti vennero emergendo le nuove conoscenza promosse dalle grandi scoperte connesse ai viaggi di esplorazione di Cristoforo Colombo, di Amerigo Vespucci, di Ferdinando Magellano, di Bartolomeo Diaz, di Vasco da Gama. La rilettura critica delle fonti classiche completa poi l'elenco degli elementi che contribuirono a creare in questo periodo quell'ambiente favorevole che fa del Cinquecento il «secolo d'oro» della cartografia.

Il nuovo approccio alle fonti classiche portȯ con sé la riscoperta di Tolomeo, introdotto in Occidente dagli Arabi, per quanto attiene l'Almagesto (ma già parecchi secoli prima) e dai Bizantini, per ciȯ che riguarda la Geografia e le carte. Ciȯ ebbe notevole rilevanza poiché la sua conoscenza reintrodusse nella cartografia occidentale i sistemi matematici e geometrici di rappresentazione già noti in età greca. Per il disegno dell'Asia, poi, l'opera dell'astronomo alessandrino fu di importanza fondamentale in quanto essa consentì una più reale configurazione di quella parte del mondo conosciuto (5).

La cultura geografica, contrariamente a quanto era avvenuto in Occidente, si era mantenuta particolarmente viva nel mondo islamico durante il periodo medievale. Tra VIII e IX secolo gli arabi si spinsero certamente fin sulle coste dell'Asia sudorientale ed orientale, toccando anche i porti della Cina meridionale, favorendo il fiorire di una ricca letteratura geografico-descrittiva legata ai nomi, tra gli altri, di al-Istahri, al-Idrisi, Ibn Khurdadhbeh, al Masudi, Ibn Battutah (6).

Al Masudi era un viaggiatore che si spinse fino al Mare della Cina e compose un'opera (Prati d'oro e miniere di gemme) nella quale travasȯ i resoconti dei suoi viaggi ma anche informazioni raccolte o derivate dalla lettura di libri diversi. Ibn Khurdadhbeh, nel suo Libro delle vie e dei regni, ci offre un quadro delle relazioni commerciali che in quel tempo facevano capo a Bagdad. Al Idrisi, su incarico di Ruggero II scrisse invece Lo svago dei viaggiatori, un libro sconosciuto alla cultura occidentale ma che rappresenta una summa delle conoscenze geografiche del mondo islamico del tempo. Ibn Battutah, un arabo di Tangeri, nel XIV secolo viaggiȯ per ventiquattro anni lungo i mari dell'Asia meridionale ed orientale, approdando anche in Cina e percorrendone anche una parte interna.

Tutta questa attività purtroppo non contribuì al progresso della conoscenza geografica e cartografica europea. Portȯ perȯ alla traduzione in lingua araba di molti testi classici, tra cui quello di Tolomeo, utilizzato anche per finalità pratiche, giacché molte coordinate relative a località note agli Arabi erano state da questi rivedute e corrette nel testo dell'alessandrino.

In Italia l'opera geografica di Tolomeo venne introdotta, come è noto, dal bizantino Emanuele Crisolora di Constantinopoli, giunto a Venezia fra il 1394 ed il 1395, quale inviato dell'imperatore d'Oriente per chiedere aiuto contro i Turchi. L'umanista Coluccio Salutati approfittȯ della sua presenza in città per introdurvi lo studio del greco e invitȯ il suo allievo lacopo Angelo ad intrecciare rapporti con il Crisolora, il quale, dopo un breve rientro a Costantinopoli, fece ritorno a Venezia portando con sé la Geografia di Tolomeo, della quale iniziȯ una traduzione. Il lavoro venne completato da Iacopo Angelo nel 1406 e nove anni dopo, nel 1415, Francesco di Lapicino e Lionardo Boninsegni disegnarono le carte, che vennero allegate al manoscritto di Jacopo Angelo, morto qualche anno prima (1409).

L'invenzione della stampa favorì una più diffusa conoscenza della Geografia. Una prima edizione a stampa apparve già nel 1475 a Vicenza col titolo di Cosmographia, senza carte, le quali comparvero invece nella edizione bolognese del 1477. Erano ventisei tavole (anziché ventisette come nei codici tolemaici), di cui undici dedicate all'Asia; e fra queste la tav. 22 dedicata alla Scitia extra Imaus M. - Serica Regio e la tav. 25 dedicata alla India extra Gangem. F. - Sina Regio.

A queste prime edizioni numerose altre ne seguirono, in lingua latina e italiana, in Italia e all'estero, con l'apparato cartografico che diventava sempre più consistente, man mano che appariva evidente l'inadeguatezza delle carte, in particolare quelle relative alle aree interessate dai nuovi viaggi di esplorazione. Cosi, nella edizione fiorentina del 1482 di Francesco Berlinghieri le carte aggiunte alle ventisette dei codici tolemaici furono già quattro (Spania novella, Gallia novella, Novella Italia, Palestina moderna et Terra sancta), e diventarono cinque dedicate all'Asia erano salite complessivamente a tredici. Nella edizione apparsa a Roma nel 1507 comparve anche un planisfero a cura di Johannes Ruysch (Universalior cogniti orbis tabula ex recentibus confecta observationibus), in proiezione cordiforme, nel qual vennero inseriti elementi nuovi relativi all'Atlantico ed all'Asia meridionale ed orientale derivati dai viaggi di esplorazione. Un mappamondo moderno comparve in aggiunta alle ventisette tradizionali carte tolemaiche anche nel Liber Geographie pubblicato a Venezia «per Jacobum Pentium de Leucho» nel 1511.

Le tabulae novae arrivarono a venti nelle edizioni di Strasburgo del 1513 e del 1520; nel 1522 e nel 1525 saliranno a ventitre e ben cinque interessavano l'Asia, tra le quali una Tabula Moderna Indiae Orientalis, una Tabula Superioris Indiae et Tartariae Maioris ed un mappamondo di Lorenzo Frisio; mentre alle ventisei carte tolemaiche (mancava il planisfero) se ne aggiunsero trentaquattro disegnate da Giacomo Gastaldi nella edizione veneziana del 1548, dove le nuove carte dedicate all'Asia diventarono sette, tra le quali una India Tercera Nova Tabula.

Nella edizione di Basilea del 1540 a cura di Sebastiano Münster ben ventuno sulle quarantotto complessive erano le carte moderne, che si distinguevano per il pressoché totale abbandono degli elementi fantastici e per l'indicazione delle fonti da cui erano stati ricavati i nuovi inserimenti. Fra le sessanta tavole della già citata edizione veneziana del 1548, alle carte del Gastaldi (il testo è del Münster) si aggiunsero due nuovi mappamondi che sostituirono quello di Tolomeo. Trentasette erano infine le «recentiores», tutte incise da Girolamo Porro, nella edizione stampata pure a Venezia nel 1596, otto delle quali relative all'Asia, una in particolare all'India Orientalis.

Con le carte tolemaiche arrivarono le prime correzioni relative alla rappresentazione dell'Asia, come quelle, per esempio, riferite all'Oceano indiano, ormai non più disegnato come un mare chiuso; ma furono soprattutto i viaggi di esplorazione che, allargando l'orizzonte tolemaico, introdussero ulteriori elementi di novità nella cartografia, una volta che questa cominciȯ a recepirle con maggiore immediatezza. Purtuttavia, il contrasto tra vecchio e nuovo restȯ vivo alla prima metà del XVI secolo, gli elementi fantastici non scomparvero mai del tutto, le fonti principali per la rappresentazione cartografica della Cina restarono ancora quelle di Marco Polo e dei viaggiatori medievali.

Tutto ciȯ risulta con maggiore evidenza qualora si analizzi la produzione cartografica italiana, che in quel periodo conservava il primato in Europa e, in particolare, i mappamondi di Contarini-Rosselli (o Rosselli 1506), di Nicolȯ Caveri (1505-6), di Pietro Coppo (1520), di Giovan Andrea Vavassore (1522), di Battista Agnese, fra la cui ricca produzione - ben sessantacinque atlanti consevatisi! - hanno rilievo ai nostri fini i mappamondi posteriori al 1540 circa, nonché la cartografia di Giacomo Gastaldi, principale figura del XVI secolo e autore della prima carta originale relativa al continente asiatico (7). Queste opere possono essere utilmente confrontate con quelle del tedesco Pietro Appiano (1520), del francese Oronzio Finco (1531)e di vari altri autori europei.

Il prototipo di mappamondo diffuso da Battista Agnese presenta tratti di indubbio aggiornamento, con la rappresentazione delle più recenti scoperte geografiche e della rotta di Magellano; ma per l'Asia estremorientale i progressi sono molto limitati, restando il quadro ancora vago e incerto. L'Asia è divisa dall'Europa da una catena di rilievi posta in direzione N-S, oltre la quale è collocato ad est il Cataio ed a sud un Sinarum Situs; al di là della massa continentale sono disegnati numerosi isolotti. Ma in planisferi precedenti (1542 e 1543) il toponimo China era posto in corrispondenza della Birmania costiera.

Anche il planisfero del Vavassore non si discosta molto dagli altri mappamondi del XV-XVI secolo, pur introducendo significative modificazioni al disegno tolemaico, suggerite dalle esperienze dei viaggiatori contemporanei. Per quanto riguarda I'Asia, il quadro tolemaico è allargato di una decina di gradi a settentrione e di cinque gradi a mezzogiorno, così da includere la rappresentazione della costa settentrionale e meridionale cinese insieme alle isole lava Minor, lava Maior e Zumpagu; l'Africa è inoltre separata dall'Asia. Nell'Asia orientale, per il disegno della quale il Vavassore si rifece al Silvano, si trovano un Sinus Magnus e numerosi toponimi che rimandano alle opere del Polo e degli altri viaggiatori medievali.

Anche in Pietro Coppo le nuove conoscenza si affiancano alle vecchie teorie. I due planisferi e le quattro tavole riferite all'Asia che fanno parte della cartografia del De toto Orbe non presentano per la Cina, della quale il Coppo dice che non si conosce molto a causa della sua vastità, particolari novità. Rilevante è invece l'estensione dell'abitabile, che dai 180° tolemaici di longitudine viene esteso a 270°, come conseguenza delle scoperte americane. Nell'emisfero australe egli disegna un grande Oceanus meridionalis, con due grandi isole fantastiche, dimostrando con ciȯ di sapere poco o nulla delle relazioni dei viaggiatori portoghesi(8).

Più interessante è in questo periodo l'opera cartografica de Gestaldi, piemontese di origine, ma che lavorȯ a Venezia anche con incarichi ufficiali. Nella città lagunare ebbe così modo di avverse stretti contatti con il Ramusio, collaborando con lui certamente e consultando il Delle navigationi et viaggi, in particolare il secondo volume sull'Asia, contenente l'impresa di Marco Polo, che egli utilizzȯ come fonte per il disegno delle sue carte; a questo cartografo infatti si devono la costruzione o l'incisione di tutte le carte di tale importante opera. Il Gastaldi inoltre fu autore, oltre che di due mappamondi, della carta murale dell'Asia, disegnata nel 1552 nella Sala dello Scudo in Palazzo Ducale, in sostituzione di quella distrutta del 1483, nella quale vennero riportate le scoperte più recenti e gli itinerari poliani(9).

Ma qui ci interessa ricordarlo soprattutto come l'autore della carta dell'Asia in tre parti e sei fogli, orientata con il N in alto, incisa su rame da Fabio Licinio e apparsa a Venezia tra il 1559 ed il 1561. La «Terza parte dell'Asia», dedicata alla sezione orientale, stampata nel 1561, rappresenta il continente (ne resta escluso soltanto il lembo settentrionale per il quale le informazioni erano assai carenti), inquadrato in una maglia di longitudini e latitudini, con una ricca toponomastica derivante prevalentemente dal testo de Il Milione.

I VIAGGI PORTOGHESI E LORO RIFLESSI NELLA CARTOGRAFIA EUROPEA DEL XVI SECOLO

Un abbandono parziale della fonte poliana venne favorito all'inizio del XVI secolo dai viaggi di esplorazione dei Portoghesi nell'Asia sud-orientale, i cui riflessi sono avvertibili in molte carte geografiche coeve, italiane e non, rendendo ancora più evidente il contrasto tra i vecchi sistemi di rappresentazione e la nuova realtà che via via veniva emergendo.

Dopo la pace con la Corona di Castiglia conclusa nel 1411 il Portogallo, vistosi riconosciuta definitivamente la sua indipendenza, dava luogo ad una politica di espansione esterna che lo proiettava prima verso la costa occidentale dell'Africa e poi verso l'Asia orientale, secondo un disegno preordinato da Don Enrico, il quale già nel 1456 aveva chiesto ed ottenuto dal papa Callisto la giurisdizione spirituale dell'Ordine di Cristo su tutte le terre scoperte e da scoprire usque ad Indos. Si trattava di una politica di espansione di impronta commerciale più che territoriale e che riservava al Portogallo il diritto di Padroado cioè un'ampia giurisdizione e autorità anche religiosa sulle terre conquistate e su quelle di missione (10).

Dopo le esplorazioni lungo l'Africa occidentale e le spedizioni di Bartolomeo Diaz e di Vasco da Gama, è con Alfonso Albuquerque all'aprirsi del XVI secolo che si concretizzȯ l'Impero Portoghese nell'Oceano Indiano. La conquista di Malacca segnȯ il dominio del

Portogallo fino alla comparsa degli Olandesi, che nel secolo successivo conquistarono le Molucche prima (1605-7) e Malacca poi (1641).

A Jorge Alvares (1513), Raffaele Perestrello (1515-18), Fernao Peres d'Andrade (1517-18) e Thomé Pires (1520-21) si devono, infatti, i primi, concreti tentativi di penetrazione sul suolo cinese i quali, sia pure riusciti solo parzialmente, avevano comunque portato all'ottenimento dell' autorizzazione ad aprire un emporio commerciale nell'I lha da veniaga, come i Portoghesi chiamavano le bocche di Canton.

Ai viaggi portoghesi si devono le prime notizie aggiornate sull'Oceano Indiano e sulle forme costiere dell'Asia sud-orientale e sull'esistenza di un arcipelago chiamato Liu-qiu fra Cina e Giappone, oltre alla realizzazione di carte disegnate «a memoria» dai naviganti, una sorta, cioè, di carte mentali, che avevano lo scopo di fissare con immediatezza i risultati delle nuove scoperte, produzioni che ebbero notevoli influenze sulla cartografia italiana ed europea del XVI secolo. Queste influenze si possono cogliere agevolmente per esempio nei mappamondi di Waldseemüller, di Nicolȯ Caveri, del Ruysch, anche se esse vennero, invece pressoché ignorate da altri cartografi.

Prima dell'arrivo a Canton di Jorge Alvares nel 1513 l'Estremo Oriente e la Cina non potevano essere disegnati se non facendo ricorso ad elementi fantastici o ai racconti di Marco Polo. Dopo di lui, almeno per i tratti costieri, le rappresentazioni diventano più reali, pur permanendo lacune ed approssimazioni.

Il primo tentativo di abbandonare Tolomeo per ispirarsi ai risultati ottenuti dai viaggi di esplorazione portoghesi è quello operato dall'anonimo autore del così detto Planisfero del Cantino, risalente al 1502, cioè successivo ai viaggi di Vasco da Gama e di Bartolomeo Diaz.

I progressi rispetto ai mappamondi di Henricus Martellus (490 c.) o di Martino Behaim (1494, ma il disegno è forse di un paio d'anni anteriore) risultano qui evidenti. Nel primo, il ricorso alle carte portoghesi dà risultati più apprezzabili per il disegno della parte occidentale del mondo. Per quanto riguarda, poi, l'Oriente in modo specifico, questa carta inaugura una serie di rappresentazioni in cui la penisola malese rappresenta la delimitazione ad occidente di un Sinus magnus, ossia un grande golfo con il mare che si riteneva bagnasse la costa cinese. All'area è attribuito il nome di India Orientalis, e nella sua sezione orientale sono posti il Mangi e la città Quinsay, mentre ancora più a nord è il Cathaio. Nel mappamondo del Behaim l'Asia orientale, pur con qualche elemento di migliore rappresentazione, rispetto a quello del Martellus, specialmente per quanto riguarda il disegno della costa, non raggiunge tuttavia risultati apprezzabili, attestando così le incertezze che in Europa ai tempi di Colombo si nutrivano sulla geografia dell'Asia Orientale.

Nella carta del Cantino invece il disegno dell'Africa e della penisola indiana assume una configurazione più conforme al vero, ma la sezione estremorientale si presenta come una massa compatta, da cui si distacca ad occidente la sola isola si Sumatra; Singapore è posta ad una latitudine di circa 20° S e la costa orientale sale pressoché uniformemente fino a quiritiria, un toponimo di cui non si conosce l'origine.

Non migliore fortuna ebbero i tentativi del genovese Nicolȯ Caveri, autore di un mappamondo non datato, ma che si puȯ far risalire al 1505-6, derivato dal Cantino e rispetto a questo ancora più lacunoso. Anche in questo documento è presente il toponimo quiritiria, integrato da una descrizione relativa ai prodotti che vi si trovano e posto nell'India superior, alla quale la geografia classica faceva appartenere la Cina.

Anche l'atlante portoghese di Egerton di, una collezione di portolani che include pure un mappamondo, conservata presso il British Museum di Londra, senza indicazione di anno, ma databile al 1510 c., è molto povero nella rappresentazione dell'Asia orientale. Pur presentando qualche progresso nella rappresentazione della penisola indiana e del Golfo del Bengala, il disegno delle aree ad est di Sumatra si fa assai più incerto. La penisola malese è molto allungata a sud dell'equatore ed è indicata con nome di influenza tolemaica; è inoltre rappresentata la Birmania ed il Tonchino, ma la Cina è di fatto del tutta ignorata, presente soltanto con il toponimo chigirina. Né maggiori informazioni contiene il cosiddetto Atlas Miller, attribuito in un primo momento al Reinel e poi a Lopo Homem e databile tra il 1519 ed il 1522, con una bellissima miniatura di scarso significato geografico, che testimonia più un ritorno a Tolomeo che un reale progresso scientifico; o l'anonimo mappamondo di Monaco, attribuibile a Pedro Reinel e databile al 1522. Pur avendo la penisola di Malacca un disegno accettabile, nonostante Singapura sia posta ad una latitudine di 25° S, la carta ignora i golfi del Mare Cinese Meridionale e per la costa orientale si rifà al fantastico, venendo fatta terminare con un enorme golfo ed un'isola chiamata Chis, ma che in realtà è il Giappone.

Fino alla metà del XVI secolo, dunque, la cartografia portoghese (quella da essa derivata) non seppe utilizzare a pieno il progresso delle conoscenze derivante dai viaggi di esplorazione nell'Asia orientale, forse perché non sempre le nuove acquisizioni scientifiche venivano adeguatamente diffuse (quando non appositamente alterate per motivi economico-strategici connessi alla lotta diplomatica per la delimitazione della raya, cioè alla esatta definizione delle sfere di influenza spagnola e portoghese.

La forma della massa continentale era ancora assai rozza, le isole indicate in maniera fantastica e mutevole, la Cina era disègnata in maniera generica e assai poco attendibile.

Nella seconda metà del Cinquecento le scoperte geografiche portarono, tuttavia, al graduale ma sempre più avanzato inaridimento della tradizione tolemaica e ad una maggiore attenzione verso la cartografia moderna, in particolare quella nautica. Scriveva in quel tempo il Ramusio che quando fossero venute alla luce le carte che il Barros diceva di poter rendere disponibili, la geografia dell'Asia avrebbe potuto essere completamente rinnovata.

Ma per la scoperta dell'Asia orientale bisognerà comunque attendere il nuovo secolo perché soltanto allora le fonti di Marco Polo avrebbero perso la loro autorevolezza.

L'ASIA NEGLI ATLANTI DEL XVI-XVII SECOLO

Nel frattempo l'allestimento degli atlanti che cominciȯ a prendere corpo sul finire del XVI secolo consentì la raccolta e la revisione sistematica del materiale cartografico allora disponibile. «L'atlante, cioè una raccolta razionalmente organizzata di carte geografiche per lo più a piccola scala e preventivamente coordinate tra loro, mi sembra la più pregnante e fedele documentazione della progressiva conoscenza de gente e paesi. Ma, oltre ai ben definiti limiti della esigenza scientifica e delle tecniche di figurazione della disciplina cartografica, l'atlante di venta il distintivo storico della vitalità politica della popolazione che lo realizza, perché vi proietta una pluralità di interessi, estendendoli praticamente a tutta la superficie terrestre. In un concetto più elevato, possiamo dire che l'atlante si collega con particolari fasi storiche della vita dell'umanità. Infatti la raggiunta grandezza politica e amministrativa dell'impero di Roma si rivela nella redazione dell'atlante tolemaico; la grandezza politica e amministrativa dell'impero di Carlo V - impero sul quale non tramontava mai il sole! - si rivela nelle prime raccolte di carte e nella successiva realizzazione dell'atlante orteliano. Ma, nell'un caso e nell'altro, v'è da aggiungere la maturazione culturale dello stimolo di una sempre più vasta ed esauriente conoscenza scientifica, scaturita in età classica dall'Ellenismo e, nel secolo XVI, dal Rinascimento, al quale partecipȯ consapevolmente tutta l'Europa centro-occidentale, cattolica e protestante. Non è un caso che, proprio in questo periodo, vengono redatti in collaborazione alcuni testi regionali poderosi, come la Cosmographia Universalis di S. Münster.

Poiché anche l'atlante geografico è il prodotto di fermenti che lievitano l'umanità, esso diventa, nel suo genere, esplicita misura della conquista intellettuale (e non solo regionalistica) della Terra da parte dell'uomo»(11).

Pur non essendo sempre presente un adeguato spirito critico, prevalendo talvolta interessi editoriali e culturale in senso lato, piuttosto che il rigore proprio delle finalità pratiche ed operative della cartografia nautica, tuttavia il lavoro editoriale dell'atlante offrì 1'opportunità di un confronto fra materiale cartografico diverso, idoneo a mettere in luce differenze e problemi che ancora restavano irrisolti. Tale confronto, per esempio, consentì di valutare come autori diversi davano per la Cina forme, dimensioni e contenuti assai differenti, rendendo necessaria la ricerca di nuove fonti.

Se si esclude la raccolta fattizia del Lafreri, il primo atlante moderno comparve nel 1570 ad Anversa a cura di A. Ortelio con il titolo Theatrum Orbis Terrarum, segnando anche il passaggio del primato cartografico dall'Italia ai Paesi Bassi.

L'espansione oltre oceano aveva spostato il baricentro economico da Mediterraneo all'Atlantico ed al Mare del Nord, nelle città portuali allo sbocco dei grandi assi fluviali che mettevano in comunicazione l'Oceano con l'Europa continentale. Con l'espansione marittimo-territoriale e con l'intensificazione delle relazioni economico-commerciali tra i paesi dell'Atlantico e quelli del Pacifico era anche cresciuta l'attenzione per la cartografia, in particolare in Olanda, un paese questo che era pronto a proiettare i suoi interessi verso le Indie orientali e avrebbe in pochi decenni strappato al Portogallo il controllo del commercio delle spezie.

Alla crisi economica e politica era seguita in Italia quella culturale, proprio mentre cominciavano ad emergere anche sul piano editoriale i centri di Harleem, di L'Aia, di Amsterdam e di Anversa, questa soprattutto dopo l'interramento dello Zwim e successivamente alla separazione delle provincie settentrionali protestanti dal Belgio cattolico e alla formazione dell'Olanda indipendente.

I Paesi Bassi diventarono cosi il centro del mercato mondiale; ad Anversa si concentravano mercanti, artisti, tipografi, cartografi, esploratori. E con lo sviluppo delle attività economico-finanziarie su larga scala, crebbe anche l'attenzione verso la cartografia moderna.

È in questo contesto che maturȯ l'attività cartografica di Abramo Ortelio, espressione della collaborazione attiva fra mercanti, editori, naviganti e cartografi. Non fu caso che l'Ortelio è il primo che contiene soltanto carte contemporanee, sia pure di autori diversi e di diversa estrazione culturale, con la produzione italiana che resta tuttavia ancora largamente prevalente. In questa prima edizione, delle cinquantatré carte che lo compongono, trentadue sono infatti i pezzi di fattura italiana, meno di dieci quelli di fattura belga.

Già in questa prima edizione dell'opera orteliana il mondo asiatico non è racchiuso in una sola rappresentazione, ma illustrato in più carte, otto per l'esattezza, di cui una è intitolata Tartariae sive Magni Chani Regni typus ed una Indiae Orientalis, insularumque adiacentium typus.

L'interesse dell'Ortelio per l'Asia si era del resto già manifestato tre anni prima della pubblicazione dell'atlante, nel 1567, quando, cioè, a pochi anni dalla edizione della carta dell'Asia del Gastaldi, egli aveva dato alle stampe ad Anversa una sua Asiae Orbis Partium maximae Nova Descriptio, per la quale si era rifatto, come egli stesso afferma nella didascalia in latino posta nell'angolo inferiore destro della tavola, a tale documento Gastaldino, ma integrandolo con il ricorso ad altre fonti - poliane e portoghesi in particolare - per la parte settentrionale a nord del cinquantesimo grado di latitudine e per la parte sud-orientale nonché per il Giappone, che figura tra 1'altro come isola diversa dal Cipangu del Polo.

Del Theatrum Orbis terrarum si ebbero diverse edizioni, ventisette durante la vita dell'Ortelio, altre due dopo la sua morte, cioè nel 1598 e nel 1601, allestite perȯ con carte già redatte mentre egli era ancora in vita; ciascuna era stata arricchita da numerosi Additamenta. Nell'edizione del 1584 (III Additamentum) era stata inserita una nuova, specifica carta relativa alla Cina, Chinae, olim Sinarum regionis, nova descriptio, di Ludovico Georgio, una carta questa che rimase per molti anni di base nella rappresentazione cartografica del grande paese asiatico e che influenzȯ anche la più tarda cartografia dell'atlante dell'Hondius (1631) e che soltanto il Linschoten era riuscito a migliorare con la sua carta del 1596, sia pure parzialmente, in particolare nel disegno relativo alla costa cinese orientale (12).

La carta del Georgio ha a settentrione il disegno della Grande Muraglia costruita contro i Tartari e rappresenta la Cina chiusa a nord e ad ovest da una catena di rilievi; al suo interno si caratterizza per avere i centri abitati contraddistinti da simboli che rimandano ad una loro diversa articolazione funzionale, una fitta rete fluviale e, nella sezione occidentale, cinque grandi laghi, che si trovano sia nella carta del Linschoten che in quella inclusa nell'atlante dell'Hondius. Il disegno della costa meridionale è migliorato risppeto alle precedenti carte, ma quello della costa orientale è ancora eccessivamente uniforme e nel complesso inesatto.

Più critica appare la revisione del materiale operata dal Mercatore - fondatore della cartografia scientifica rinascimentale insieme a Gemma Frisius, suo maestro, col quale pubblicȯ, in collaborazione, nel 1536, una sfera celeste - nel corso del lavoro finalizzato alla realizzazione del suo Atlas(13).

La sua fama è legata, oltre che all'atlante, alla carta del mondo pubblicata a Duisburg nel 1569 (Nova et Aucta Orbis Terrae Descriptio Ad Usum Navigatium emendate accommodata), con la quale egli si prefisse di realizzare una nuova proiezione utile ai naviganti, detta poi di Mercatore, adoperata nella cartografia nautica per la sua proprietà di rappresentare mediante una retta ogni linea lossodromica; di offrire un disegno della superficie terrestre il più esatto possibile; nonché di confrontare l'immagine che del mondo avevano i geografi classici con quella offerta dalla cartogrfia moderna.

Per raggiungere questi obiettivi egli studiȯ attentamente tutto il materiale disponibile, dalla cartografia dell'Ortelio a quella di Gestaldi, dalle carte nautiche castigliane e portoghesi ai resoconti dei viaggiatori medievali e contemporanei, e lo mise a confronto con i testi di autori classici come Tolomeo, Plinio, Solino, Mela. Si trattȯ di un lavoro attento, che si concluse con la realizzazione di una carta molto accurata, nonostante egli non sempre avesse avuto la possibilità di avvalersi delle informazioni più aggiornate e sebbene il suo ponto di vista fosse rimasto in parte orientato verso la visione classica del mondo. Nel dubbio dette maggior credito alle fonti antiche, perpetuando in tal modo qualche errore che sarebbe stato tra l'altro ripreso anche da altri cartografi, che a lui si sarebbero successivamente ispirati.

Lo stesso approccio scientifico egli ebbe nella realizzazione dell'atlante (Atlas sive Cosmographicae Meditationes de Fabrica Mundi et fabricati figura, denuo auctus), una monumentale opera realizzata in più parti e pubblicata la prima (con 51 carte) nel 1585, la seconda (con 23 carte) nel 1589, la terza ed ultima parte postuma dal figlio Rumoldo nel 1595, che contiene tredici tavole dedicate all'Asia, una delle quali alla Cina in modo specifico(14).

La produzione cartografica olandese è comunque in questo periodo rilevante anche per l'attivismo di numerosi editori colà operanti(15).

Figura notevole di stampatore fu W. J. Blaeu che, dopo aver pubblicato nel 1590 un globo terrestre e nel 1603 un globo celeste, diede alle stampe qualche anno dopo a l'Aia una carta (non datata), in due fogli, relativa all'Asia, che fa parte di un gruppo di quattro carte dedicate ai quattro continenti. Alla sua morte 1'azienda passȯ ai due figli Cornelio e Giovanni; quest'ultimo venne nominato nel 1638 cartografo ufficiale della Compagnia delle Indie Orientali, e questa nomina gli consentì di ottenere l'autorizzazione (1670) ad esaminare il giornale di bordo dei piloti olandesi, il che gli facilitȯ molto il lavoro di aggiornamento cartografico sull'Asia, in particolare quello relativo al profilo costiero della Cina. Sua opera principale resta il mappamondo, con il quale egli mostrȯ di allontanarsi definitivamente dalla tradizione tolemaica. Vi sono disegnate tre grandi masse continentali relative al vecchio mondo (Africa-Eurasia), all'India nova (Americhe) e al Continens australis, secondo una visione greca dell'ecumene, che fu anche di Marco Polo e di Ludovico de Varthema, i quali ritenevano che esistesse a sud di Java major la regione di «Beach e Lucach». Per il disegno dell'Asia di sud-est non sono state trascurate le fonti portoghesi; tuttavia, il fiume di Canton è stato confuso con il Gange.

Alla iniziativa dei Blaeu si devono importanti opere cartografiche, come l'atlante stampato nel 1631 con il titolo di Appendix Theatri Ortelii et Atlantis Mercatoris; il Theatrum Orbis Terrarum sive Atlas Novus, apparso ad Amsterdam nel 1635 in due volumi «per Guljielmum et Iohannem Blaeu», contenente nove carte sull'Asia, di cui una intitolata China veteribus Sinarum Regio nunc incolis Tame dicta, firmata «Guiljelmus Blaeu». A uno dei Blaeu si devono anche un globo terrestre non datato, ma certamente successivo al 1629, giacché questa è la data più tarda fra quelle segnate per indicare le esplorazioni olandesi nel Pacifico; ed una Nova et exacta Asiae Geographica descriptio, pubblicata nel 1679, molto simile all'edizione dell'Asia, ripubblicata anche in edizione francese nel 1685 a Parigi da C. H. Jaillot.

Da non trascurare è anche l'opera editoriale di Gerardo De Jode, che pubblicȯ nel 1578 lo Speculum Orbis Terrarum, successivamente ristampato per una seconda edizione nel 1593 a cura del figlio Cornelis, contenente cinque carte relative all'Asia: le prime quattro sono una riproduzione in scala ridotta della grande carta del Gastaldi, la quinta è la China quae et Sina, firmata da Cornelis de Jode, dove la Cina appare divisa nelle sue quindici province.

Una ulteriore carta della Cina venne infine pubblicata nel XVII secolo anche da Joannes van Loon.

Nonostante questa intensa attività cartografica ed editoriale, la rappresentazione della Cina restȯ nel XVII secolo insoddisfacente, pur se migliorata rispetto alle opere medievali: il Cataio, per esempio, restava ancora indicato come realtà diversa dalla Cina in tutta la cartografia occidentale.

I viaggi dei Portoghesi e degli Olandesi non erano riusciti a darei una rappresentazione accettabile neppure dei lineamenti costieri della Cina, di una sezione cioè che era stata ampiamente esplorata, anche se la Corea, ancora un'isola in Mercatore e Linschoten, venne per la prima volta indicata come penisola nella Carta dell'Asia pubblicata da Hondius nel 1631.

Il problema della carenza delle informazioni non sfuggiva ad un geografo come il Mercatore che nel 1580, in una lettera inviata a Richard Hakluyt si lamentava di come le conoscenze relative all'Estremo Oriente fossero vaghe ed indistinte e di come bisognasse, per l'allestimento delle carte, ancora fate ricorso alle fonti poliane o ai geografi classici(16).

I GESUITI E LA CARTOGRAFIA ASIATICA

L'Occidente poté avere una migliore visione della Cina soltanto quando cominciȯ a conoscere il materiale raccolto o prodotto in seguito alla intensa attività cartografica promossa dai gesuiti, da Michele Ruggieri prima e da Matteo Ricci poi, fra XVI e XVII secolo.

Le missioni gesuitiche in Oriente ebbero inizio subito dopo la fondazione dell'Ordine, nel 1541, quando Francesco Saverio, su suggerimento di Ignazio di Loyola, che egli aveva incontrato a Parigi, decise di partire per l'India per organizzare colà la presenza della Chiesa nei possedimenti coloniali portoghesi, come del resto esplicitamente aveva chiesto il re del Portogallo Giovanni III.

Nel 1542 Francesco Saverio era già a Goa, da dove passȯ poco dopo alle Molucche e in Malacca. Qui la conversione di un giapponese lo indusse a tentare di espandere la sua opera di apostolato anche nell'Estremo Oriente, in Giappone ed anche in Cina.

Ma, come è noto, egli non ottenne il permesso di entrare nell'impero Ming e rimase sempre all'interno dell'orbita di influenza portoghese. Trovȯ infatti la morte a poche miglia dell'odierna Macao, nell'isoletta di Sanciano, dove i Lusitani avevano fondato un piccolo emporio commerciale. Il Portogallo, del resto, dopo le vittorie di Alfonso di Albuquerque aveva dissolto l'egemonia araba nell'Oceano Indiano e si era saldamente impossessato della navigazione orientale. Ne seguì un decadimento delle scienze geografiche arabe. Un mappamondo arabo disegnato nel 1579 da Ali Ibn Ahmad al-Sharafi di Sfax puȯ essere indicativo del livello di conoscenza degli Arabi all'aprirsi dell'età moderna. La carta ignora l'esistenza del Nuovo Mondo, i viaggi europei nell'Atlantico e nel pacifico, la produzione cartografica occidentale e in particolare le carte nautiche portoghesi, cosi che essa puȯ quindi essere considerata simbolo di una cultura isolata, espressa da un popolo che aveva ormai arretrato il suo raggio di azione all'Africa settentrionale ed all'Asia sud-occidentale, lasciando agli europei gli spazi delle nuove conquiste.

La presenza dei gesuiti in Asia segnȯ la definitiva chiusura di una fase di diffusione della fede basata sull'uso della forza e della guerra e ne aprì un'altra che si affidava al confronto e alla penetrazione culturale. A determinare questa svolta fu Alessandro Valignani, organizzatore e amministratore delle missioni gesuitiche in Asia per circa trent'anni, che suggerì ai missionari di adattarsi alle usanze ed alle pratiche dei popoli orientali: da questa impostazione scaturì la tolleranza verso i riti cinesi e malabarici, che causȯ ai religiosi della Compagnia di Gesù non pochi attacchi e condanne da parte di altri ordini religiosi, ma anche l'attenzione verso la cultura indigena e la necessità di approfondire la conoscenza del paese e delle sue istituzioni.

Dopo Francesco Saverio numerosi altri missionari tentarono l'impresa da lui fallita. E se a mettere per primo piede sul suolo cinese fu il padre Melchiorre Nuñez Barreto, riuscendo a sbarcare nel 1556 a Canton, ad aprire il periodo moderno della penetrazione del cattolicesimo in Cina fu Michele Ruggieri.

Il Ruggieri restȯ in Cina per dieci anni, dal 1579 al 1588, anno in cui fece ritorno a Roma, su indicazione del Valignani, con l'incarico di preparare una ambasceria pontificia a Pachino, poi non andata in porto. Primo missionario a cui fu permesso di soggiornare in Cina, giunse a Macao nel luglio del 1579, quando il Valignani era da poco partito per il Giappone, non senza avergli lasciato, perȯ, precise indicazioni sulle cose da fare, in primis quella di studiare la lingua e i costumi cinesi. Poco più di un anno dopo, nel novembre del 1580, il Ruggieri chiese di essere affiancato dal Ricci nella sua opera missionaria, segnalando altresì l'utilità di disporre di materiale cartografico e l'interesse della Cina per le «cose di matematica».

Rientrato in Italia portȯ con sé notevole materiale cinese, che gli servì per continuare il lavoro cartografico intrapreso in terra asiatica e soprattutto per completare il suo Atlante della Cina Ming, scoperto nel 1988 nell'Archivio di Stato di Roma.

L'atlante è composto da 37 fogli di descrizioni geografiche e da 28 carte, alcune abbozzate altre meglio rifinite. Delle quindici province ci offre una descrizione analitica, con informazioni relative alle distanze, alle produzioni agricole, alle miniere, alle circoscrizioni amministrative, classificate in fu (府 ), zhou (州)e xian (縣) a cui si aggiungono le wei (衛) e le suo (所), cioè le guarnigioni militari e i posti di guardia dell'impero, tutte indicate nell'Atlante. Sono pure rappresentati alcuni rilievi e il tracciato dei principali fiumi.

La politica del Valignani, iniziata dal Ruggieri, venne portata avanti dal padre Matteo Ricci, il quale per primo intuì che la conversione alla fede cattolica sarebbe stata più facile se dapprima avesse investito le classi più colte socialmente elevate.

Matteo Ricci nacque a Macerata nel 1552, dove all'età di nove anni cominciȯ a frequentare le scuole gesuitiche, per poi continuarle, sette anni dopo, a Roma. Qui nel 1571 cominciȯ il suo noviziato religioso e fu per le scienze fisiche discepolo di padre Cristoforo Clavio, che gli trasmise il suo interesse per la cartografia, un insegnamento questo che si sarebbe poi rivelato di grande significato e di fondamentale importanza nella formazione culturale e nell'attività del nostro missionario.

Padre Ricci era giunto a Goa, in India, nel 1578 e circa quattro anni dopo era stato invitato dal Valignani a recarsi a Macao, per affiancare il Ruggieri nel tentativo di penetrazione nel «Regno di Mezzo». Aveva soggiornato a Macao circa diciotto mesi per apprendere la lingua cinese e da qui l'anno dopo si era spostato a Zhaoqing, sulla riva destra del fiume Xi-Jiang, a un centinaio di km ad ovest di Canton, allora sede del Dutang(都堂). Dopo la partenza del confratello da Zhaoqing Ricci cominciȯ la sua penetrazione verso l'interno, che lo avrebbe portato prima a Shaoguan (1589), dove fondȯ una nuova residenza, e poi a Nanchino (1595), dove sarebbe rimasto perȯ soltanto due mesi per spostarsi successivamente a Nan-Chang, dove riuscì a fondare una nuova terza residenza (1595), mentre una quarta la fondȯ a Nanchino nel 1598. In questa città egli poté anche entrare in contatto con i letterati del luogo, iniziando con loro un confronto tra la cultura cinese e il sapere scientifico degli occidentali, in particolare con il Collegio dei Matematici, il cui appoggio gli avrebbe successivamente permesso di poter raggiungere e fermarsi definitivamente in Pechino.

Nel 1600 egli ottene, infatti, l'autorizzazione e partire per Pechino, dove giunse l'anno dopo e restȯ fino alla fine dei suoi giorni, creandovi il centro di coordinamento delle missioni gesuitiche in Cina.

Già nel 1584, a Zhaoqing il Ricci aveva esposto un mappamondo, di fattura occidentale, che aveva suscitato vivo interesse e meraviglia presso il governatore, il quale l'aveva inviato a curarne una edizione in cinese, da far stampare e divulgare in tutto l'impero. Da quel momento aveva avuto inizio quell'attività cartografica del Ricci che avrebbe finito poi per rivoluzionare le conoscenze geografiche e cartografiche degli occidentali sulla Cina. Il suo primo mappamondo fu infatti stampato nello stesso anno in cui 1'Ortelio pubblicava in Europa un aggiornamento del suo Thetrum Orbis Terrarum, facendo ricorso per la Cina, come si è già detto, alla carta di Ludovico Georgio.

Ruggieri e Ricci furono i primi, del resto, che poterono - grazie alla conoscenza della lingua, alle frequentazione dei mandarini e ai loro viaggi - avere una chiara ed esatta cognizione dell'Impero Ming. Essi, a differenza degli altri, sia missionari che mercanti che li avevano preceduti, poterono quindi attingere ai documenti originali, che elaborarono e vagliarono criticamente, presentandoli in maniera sistematica e con efficacia pratica, in particolare da quando l'editore romano F. Zannetti cominciȯ a diffondere regolarmente dal 1586 attraverso gli «Avvisi della Cina et Giappone» il materiale che giungeva a Roma.

Nel 1614 fece ritorno a Roma dall'Oriente padre Nicola Trigault, portando con sé un manoscritto di Mateo Ricci nel quale questi aveva annotato, in italiano, le sue vicende cinesi relative agli anni 1582-1609. Il manoscritto venne tradotto in latino dal Trigault, che lo pubblicȯ con il suo nome l'anno dopo in una prima edizione, cui ne seguirono in breve tempo altre, in francese, tedesco, spagnolo e italiano (17).

La sua diffusione offrì per la prima volta notizie positive, concrete e reali sulla Cina, rompendo decisamente con la tradizione classica e medievale, caratterizzata dalla presenza di elementi favolosi, leggendari, mitologici nella descrizione di terre lontane e sconosciute.

Il materiale del Ricci (come pure quello di altri gesuiti d'Oriente) cominciȯ, dunque, a essere diffuso e consultato da studiosi diversi in Europa, così che nella prima metà del Seicento videro la luce importanti opere sull'espansione europea e sull'attività della Compagnia di Gesù in Oriente. La consultazione del materiale d'archivio raccolto presso la Curia Generalizia romana consentì al Bartoli, al Riccioli, al Kircher, al padre Maffei, a Luis de Guzman e, nel secolo successivo, ai padri Lafitau e Charlevoix di ripercorrere le tappe della penetrazione cattolica in Asia. Tra 1603 e 1620 ben quattro monumentali opere sulla espansione occidentale in Estremo Oriente vennero pubblicate in lingua spagnola e portoghese (18).

Il Ricci, che era andato in Cina per svolgere il suo mandato religioso, finì per ampliare il raggio della sua azione, esercitando innanzitutto una funzione di «ponte» tra la cultura occidentale e quella orientale, presentando, cioè, ai cinesi i grandiosi risultati conseguiti dalla cultura e dalla l'originalità della cultura orientale.

Dopo di lui non è più il viaggiatore-mercante--esploratore che domina la scena, ma la figura dell' esploratore-mercante-missionario e soprattutto del «curioso», di colui cioè che è desideroso di vedere, di conoscere, di riferire; tutte cose considerate di per sé utili, indipendentemente, cioè dalle opportunità di guadagno, che dalla riscoperta possono scaturire.

Al Carletti (1573) che vede il viaggio come fonte di guadagno, si contrappone in questo periodo il Della Valle, nelle cui opere il viaggio è visto come fine a se stesso; o molto tempo dopo Giovanni Francesco Gemelli-Careri, osservatore puntuale più che di paesaggi, dell'animo umano e delle condizioni sociali ed economiche che contribuiscono a determinarlo. Autore privo di meraviglia, narratore di esperienze proprie più che di avventure altrui, il Gemelli-Careri esprime bene il distacco tra chi vive il viaggio e vede la realtà e chi la descrive, senza esprimere una scala di valori, guardando, cioè, all'Oriente non come ad una realtà inferiore ma semplicemente diversa dalla nostra (19).

Non a caso in questo mutato contesto acquista nuova importanza e nuovo interesse la cartografia, non più considerata semplice disegno di coste e di itenerari finalizzato al viaggio e alla mercatura, ma soprattutto come strumento per la conoscenza e la rappresentazione del territorio.

Con le missioni gesuitiche del XVI secolo si era, dunque, aperta una nuova fase dei rapporti tra Oriente ed Occidente, con la quale si era arrivati in Europa ad una nuova configurazione del concetto e della visione di Estremo Oriente, identificato sempre più con la Cina, che tuttavia appariva ancora incerta nei suoi lineamenti generali, tanto che continuava ad essere articolata su Catai e Mangli, una divisione rimasta dominante fin dai tempi del Milione.

Era stato Marco Polo, infatti, a descrivere per la prima volta come entità separate e diverse tra loro il Cataio, ovvero la Cina del Nord, mongolica (1'antico impero dei Jin), alla quale si giungeva via terra, lungo la via della seta, dal Mangi, la Cina meridionale (1'antico impero dei Song), alla quale si perveniva via mare.

L'Estremo Oriente, le Indie orientali, la costa orientale dell'Asia avevano nel XVI secolo una estensione in longitudine tale da ridurre notevolmente lo spazio degli oceani.

Fu prerogativa del Ricci nel 1596 situare la Cina fra il 19° ed il 42° grado di latitudine N e ad estenderla in latitudine a non oltre i 120° ad est del meridiano di Parigi, nonché a restituirle quella unicità che la distinzione Catai-Mangi le negava, facendola uscire definitivamente dal mito medievale ed entrare in un nuovo mito etico-politico-religioso di ben altra portata che andava al di là del sincretismo simbolico nel quale s'era articolata l'immagine medievale dell'oriente poliano(20).

La distinzione Cina-Catai era stata determinata dalle considerazioni sulle diverse condizioni climatiche che caratterizzavano località poste alla stessa latitudine, nonché dal variare della toponomastica intervenuto tra la caduta della dinastia mongola, dominante al tempo di Marco Polo, e l'ascesa della dinastia Ming; cosi che Cambaluc, la città dell'imperatore del periodo mongolo e Pe-king, la reggia del nord della dominazione Ming, venivano considerate due diverse località.

Della identificazione del Cataio con la Serica e la Cina il Ricci parlȯ per la prima volta nel 1596 in una lettera inviata da Nanchino al padre Julio Fuligatti, della Compagnia di Gesù in Roma, confermandola due anni dopo, quando corresse anche la latitudine di Pechino, dai più data a circa 50° N. In quella lettera egli così si esprimeva:

«Ai nostri Padri all'hora cominciȯ esser chiaro, il che anco altre volte havevano giudicato, che questo fosse quel regno, che appresso alcuni autori è chiamato Gran Cataio, e che questa città fosse la Regia di quello, che chiamavano il Gran Cane, che hoggi è il Re della China; la qual città da quelli scrittori Cambalù è detta»(21). Questa affermazione venne anche suffragata da osservazioni di carattere scientifico, linguistico, geografico, storico, che lo indussero ad affermare:

«Questo è certo, che in questo tempo non è paese alcuno fuori delle muraglie della Cina, che si chiami il Cataio»(22).

Ulteriori prove il Ricci le ebbe quando nel 1601 a Pechino chiese ad alcuni viaggiatori colà giunti attraverso la via della seta se avessero incontrato lungo la loro strada alcun Cataio ottenendo risposta negativa; e, ancora, in seguito alla missione di Benedetto Goes, che, partito da Agra nel 1603, attraverso il valico di Chavac, Talachan, Badascian, Tangitar giunse, dopo un viaggio durato circa tre anni, fino a Kaschgar e, attraverso il deserto di Takla-Makan, fino a NE di Aksu e ad Hami e Suzhou, nei pressi della Grande Muraglia, dove nel 1605 gli venne impedito di proseguire oltre. Il diario del viaggio andȯ distrutto ma il Maceratese riuscì ugualmente ad ottenere dal servo del Goes, 1'armeno Isac le informazioni che cercava, necessarie a confermare la sua intuizione. Il Ricci trasmise immediatamente a Roma in una lettera dello stesso anno questa sua ulteriore prova.

A Pechino il Ricci iniziȯ lo studio attento della Cina attraverso misurazioni astronomiche dirette e attraverso la consultazione di fonti e documenti originali cinese, che gli consentirono di conoscere l'organizzazione amministrativa, il quadro idrografico e morfologico, i valori di latitudine di alcune località, le attività economiche, la cultura dei Cinesi(23).

Il mappamondo esposto a Zhaoqing, delle cui caratteristiche si conosce ben poco, destȯ dunque meraviglia soprattutto per la vastità dell'ecumene in esso rappresentato. La Descrizione di tutto il mondo riproduceva in realtà la sola Cina circondata dal mare con qualche isoletta identificata da nomi di regni di cui i cinesi avevano avuto notizie indirette. Per questo il Ricci si preoccupava di non divulgare il suo mappamondo: occupando la Cina una piccola parte della carta, egli temeva che ciȯ potesse essere interpretato come scarsa considerazione per il paese che lo ospitava ed essere di ostacolo alle sue relazioni, come egli stesso affermȯ in una delle sue lettere:

«Quando videro il mondo sì grande e la Cina in un cantone di esso, si piccola al loro parere, la gente più ignorante cominciȯ a farsi beffe de tal descrittione, ma gli più savij, vedendo si bello ordine de' grandi paralleli e meridiani con la linea equinoctiale, tropici e le cinque zone con varij costumi di paesi, e tutta la terra piena de' varij nomi voltati dal primo mappa, anco stampato, che dava assai credito a tanta novità, non potero lasciare di credere essere tutto questo verità»(24).

Il padre curȯ ben nove edizioni cinesi del mappamondo di Zhaoqing, opportunamente modificato sulla base delle finalità che si prefiggeva di raggiungere. Alcune furono semplici ristampe, altre veri e propri aggiornamenti. Nel 1584 comparve a Zhaoqing la «Carta geografica dei monti e dei mari», cioè il primo mappamondo del Ricci, in un solo foglio. Sedici anni dopo venne pubblicata a Nanchino una nuova edizione di questa opera, la «Descrittione de mappa universale di tutto il mondo con molte annotazioni e dichiarationi», in più fogli; mentre un terzo mappamondo in sei fogli, la «Carta geografica completa di tutti i Regni», di dimensioni doppie questo rispetto all'esemplare del 1600 (4,14 x 7m.), apparve a Pechino nel 1602; l'anno dopo sarebbe comparsa una quarta edizione in otto fogli, ristampata poi nel 1608, sempre a Pechino.

Anche il numero delle copie deve essere stato consistente, se soltanto si pensa che nel 1608 il re gli chiese ben dodici nuovi mappamondo stampati su seta. Ma di queste copie se ne hanno soltanto alcune. Della prima edizione di Zhaoqing del 1584 e della seconda di Nanchino del 1600 non si conserva nessuna copia; della terza edizione (Carta geografica completa di tutti i regni, Pechino, 1602, successivamente riprodotta nel 1608) si conoscono sei esemplari; uno è conservato in Italia presso la Biblioteca Vaticana, un altro presso la Royal Geographical Society di Londra, un altro ancora a Kyoto, due e Pechino e uno a Shen-yang 沈陽 in Manciuria. Si tratta di m 1,79 x 0,69, per una larghezza complessiva di m 4,14, che presenta l'Asia nella parte centrale, con sei prefazioni, ricche note esplicative, leggende, figure, toponomastica in lingua e caratteri cinesi.

Per la rappresentazione dell'Occidente il Ricci si servì di fonti diverse, anche contemporanee; certamente delle carte orteliane, della Geografia di Tolomeo, delle fonti poliane e dell'opera del Ramusio, mentre per la parte asiatica le fonti furono cinesi. E mentre la rappresentazione dell'Asia esprimeva un evidente progresso della cartografia, per la parte relativa ai paesi europei e per l'Italia, in particolare, gli errori che si riscontravano erano diversi, così che il prodotto si presentava, limitatamente all'Occidente, qualitativamente inferiore a quelli elaborati in Europa, ma di grande utilità per un primo aggiornamento della Cina. Ciȯ nonostante, il Ricci riuscì ad attirare l'interesse dei Cinesi per gli strumenti scientifici e per i metodi di rappresentazione cartografica occidentali, trasmettendo loro elementi della nostra cultura geografica, che favorirono lo sviluppo delle loro concezioni astronomiche e cosmologiche, oltre che una migliore conoscenza dell'ecumene(25).

In quel tempo le conoscenze del globo abitato erano per i Cinesi limitate ai loro territori e poco o niente essi sapevano del resto del mondo. Per gli antichi geografi cinesi l'Occidente corrispondeva alla regione centrale dell'Asia delimitata dal Thien-Shan a N, da Kwen-Iun a S, dal Pamir a W e dal deserto del Gobi a E, un'area cioè di circa venti gradi di longitudine e quattro gradi di latitudine. Eppure, fino al XII secolo le conoscenze geografiche e cartografiche dei cinesi non erano inferiori a quelle che in quel tempo si avevano in Europa.

I viaggi marittimi cinesi erano stati intensi già nel II sec. a. C. e si erano mantenuti tali per lungo tempo; dopo aver raggiunto il loro culmine ai primi del XV sec. d. C., si erano interrotti dopo il 1435.

Questi viaggi avevano permesso ai cinesi di toccare certamente le coste dell'Asia meridionale dell'Africa, dell'Australia e, forse, anche del continente americano, anche se non avevano dato luogo a rotte durature nel tempo. Con i viaggi si erano sviluppate anche le conoscenze tecniche: i naviganti cinesi usavano le bussole e avevano conoscenza delle correnti marine e della dinamica dei venti già prima che esse venissero introdotte in Occidente. Tra l'XI e il XII secolo particolare progresso aveva interessato la cartografia nautica, che si presentava avanzata, sia pure con caratteristiche proprie rispetto a quella occidentale(26).

All'interruzione dei viaggi seguì la decadenza tecnico-scientifica e geografica. R. C. Beazley nel 1906 scriveva, infatti, che in quel tempo «both Islamic and Chinese Culture have lost their former breath of view, inquisitive energy, and scientific spirit, that both have became prisoners of tradition and convention, that as explorers of the world and investigators of the nature there is little more to be expected of them» (27). E così, nel 1628, era stato Padre Aleni a scrivere una Geografia universale ad uso dei cinesi nella quale venivano descritte l'Europa, l'Africa, il Mondo nuovo, realtà cioè in larga parte sconosciute ai cinesi.

Anche se i Cinesi non conoscevano la latitudine e la longitudine e avevano idee cosmologiche superate, tuttavia avevano una cartografia sviluppata, che basava la localizzazione dei punti e la misurazione delle distanze su un reticolato di maglie quadrate, su cui il terreno veniva rilevato procedendo dalla grande alla piccola scala. La cartografia cinesi, infatti, era una cartografia a grande scala, finalizzata alla rappresentazione ed all'amministrazione del territorio.

Ciȯ favoriva la grande disponibilità di materiale cartografico relativo alle diverse province della Cina, che, venuto a conoscenza e in possesso di viaggiatori e missionari, consentì l'aggiornamento della cartografia della Cina in Occidente.

Le quattro lapidi conservate nel tempio di Confucio nella città di Su-zhou, una delle quali, datata 1247 d. C., rappresentava l'impero, non dovevano essere sconosciute neppure a M. Polo; J. de Barros (1496-1570) per la sua descrizione della Cina si era certamente avvalso di una carta cinese, di cui diceva di volere dare anche una traduzione; anche la carta di J. Saris ha certamente come fonte una numerosi errori sia nei lineamenti generali della Cina che nella localizzazioni degli oggetti geografici sulle carte di Ortelio, Mercatore e Hondius doveva certamente avvalersi del conforto di carte originali. Ma coloro i quali utilizzeranno con sistematicità e profitto il ricco materiale cartografico cinese saranno soprattutto i missionari gesuiti, in particolare il Ruggieri, il Ricci e il Martini, trasportandone i contenuti su nuove carte secondo i metodi scientifici europei.

I mappamondi ricciani rappresentano il primo tentativo di localizzare sulla carta la Cina nella sua reale conformazione e nella sua corretta posizione astronomica, frutto di rigorose misurazione dirette dei valore di latitudine oltre che di stime indirette, nonché di attente valutazioni delle fonti originali. La cartografia del missionario è per la prima volta priva di ogni ricorso a elementi fantastici e mitologici. E per dare maggior risalto al paese, egli lo colloca al centro della sua rappresentazione, utilizzando come meridiano fondamentale quello passante per il Giappone.

Realizzati in proiezione ovale, i mappamondi sono ricchi di toponimi (1200) e di leggende contenenti particolari esplicativi dell'attività del nostro missionario o destinate ad illustrare principi generali di cosmografia o ad offrire ai destinatari informazioni sui popoli e sulle regioni rappresentate sulla carta, in particolare di quelle cinesi, di cui ci offre, insieme alla visione degli elementi di ordine fisico, anche dettagliate informazioni di ordine umano.

E quello del Ricci un lavoro in larga parte originale; con esso ha dato un aggiornamento concreto riella rappresentazione non solo della Cina, ma dell'Asia tutta, correggendo e aggiornando la cartografia fino ad allora disponibile. Per la prima volta poterono essere conosciute quasi tutte le principali catene montuose della Cina, anche se persiste nei suoi mappamondi quella catena di rilievi posta ad occidente del territorio cinese in direzione N-S, con la quale la Cina veniva separata dalle regioni contermini. Per la prima volta la configurazione generale del paese asiatico è comunque molto vicina al vero.

Il lavoro del Ruggieri e del Ricci fu poi continuato e valorizzato dal Martini, il quale, contrariamente a quanto era accaduto al Ruggieri, poté dare alle stampe un atlante, col quale ha fatto conoscere all'Occidente il grande paese asiatico. A lui si deve, pertanto, come dice il Baldacci, la vera scoperta geocartografica della Cina.

L'Atlas Sinensis venne infatti pubblicato ad Amsterdam nel 1655 in due edizione latine. Come parte dell'Atlas Maior Sive Cosmographia Blaviana venne più volte tradotto e nello stesso 1655 apparve in altre quattro edizioni con il testo tradotto in francese, olandese, tedesco e spagnolo. Due anni prima il Martini ad Amsterdam era entrato in contratto con uno dei Blaeu, Giovanni che, ereditata l'azienda cartografica del padre insieme al fratello Cornelis ed avendo avuto modo di prendere visione di quell'opera, non si era lasciato sfuggire la grande opportunità di pubblicarla.

L'atlante si compone di una parte descrittiva e di una parte illustrativa, ricca di diciassette carte: una generale relativa all'Imperii Sinarum Nova Descriptio, quindici destinate a ciascuna delle province in cui era articolato il paese, una al Laponia Regnum, in scala 1:3.552.000 circa.

Il Martini, al pari del Ruggieri e del Ricci, utilizzȯ con spirito critico le fonti originali cinesi; migliorȯ tuttavia le coordinate geografiche in modo da inserire la Cina nel contesto del mondo moderno. Probabilmente si avvalse anche di fonti cinesi portate in Italia da Carletti(28), e soprattutto del lavoro cartografico di Michele Ruggieri, a noi sconosciuto fino a pochi anni fa, ma a lui certamente non ignoto.

Pur essendo la struttura degli atlanti pressoché identica così da far pensare, oltre che ad un lavoro svolto in collaborazione fra i gesuiti, soprattutto ad una fonte originale unica, non mancano, tuttavia, alcune significative differenze nelle diverse rappresentazioni cartografiche. Interessano la estensione territoriale della Cina come anche le coordinate geografiche.

Alcune carte del Ruggieri portano indicate sul margine destro i valori di latitudine, anche se talvolta in maniera approssimativa, in particolare per quelli più elevati. La latitudine di Pechino è data in 46° N e ciȯ dimostra che egli non potè avvalersi delle più recenti acquisizioni del ricci, una volta ritornato a Roma. Ma la riduzione dell'impronta tolemaica è nel suo Atlante notevole, la forma del paese molto corretta, così pure la rappresentazione della costa meridionale ed orientale. Anche la dimensione del paese è qui più reale che altrove, in particolare rispetto a quella suggerita dal Martini o dal Boym, oltre che dall'Ortelio e dal Gastaldi(29).

Anche il Sanson aveva avuto modo di vedere il lavoro del Ruggieri, che aveva definito più attendibile di quello del martini, da lui sottoposto a critiche, sicché utilizzȯ il primo per la costruzione del suo Asie(30).

Se l'opera del Ricci ebbe notevole influenza sulla cartografia orientale, giapponese in particolare, quella del Ruggieri diede dunque maggiore impulso allo sviluppo della cartografia europea relativa alla Cina(31).

La cartografia dell'Asia si arricchisce, dopo il lavoro prodotto dai gesuiti, di nuovo materiale, per merito soprattutto degli olandesi e dei francesi(32), i quali imprimeranno un nuovo ulteriore sviluppo alla moderna cartografia all'aprirsi del XVIII secolo. Con Janson, che mise a punto un nuovo sistema di misurazione indiretta delle distanze e la ricerca della posizione dei punti mediante procedimenti trigonometrici; con Picard, che provvide ad una diversa misurazione del meridiano; con il Cassini e il Deslisle, che corressero radicalmente i sistemi di rappresentazione della terra, eliminando del tutto i resti della tradizione tolemaica; nonché con il Sanson, che - come si è detto - si era posto in posizione critica nei confronti dell'opera del Martini, così da suggerire la necessità di alcune verifiche ed aggiornamenti.

Nel 1688 Luigi XIV di Francia stabilì a sue spese una missione gesuita a Pechino, indipendente da quella sottoposta al Padroado portoghese. L'imperatore Kangxi (康熙) incaricȯ alcuni membri di quella missione di eseguire un rilevamento completo dell'impero. Il lavoro occupȯ otto anni (1708-1716) ed ebbe come risultato un grande atlante bilingue (manciù e cinese) in trentadue fogli. Queste carte furono poi tradotte dai gesuiti ed inviate a Parigi. Su di esse il D'Anville, geografo del re, disegnȯ la sua carta (1733), inserita nei Mémoires de la Chine del Du Halde.

Con il D'Anville scompaiono definitivamente le rappresentazioni simboliche e figurate, le allegorie. Si chiude l'epoca della cartografia empirica e si apre quella della cartografia scientifica. Grazie al notevole apporto dato dai gesuiti, anche la Cina si libera del fantastico e del mitico ed entra con la sua identità nel panorama cartografico di produzione europea.

Revisão de texto de Rui Cascais.

"Tabula Secunda. Provintia Quantum"

(廣東省; Guangdongsheng, Província de Guangdong)

In M. RUGGIERI, Atlante della Cina, op. cit., T11.

"Quantum 3" "De Quam T'um Provintia"

(廣東省; Guangdongsheng, Província de Guangdong)

In M. RUGGIERI, Atlante della Cina, op. cit., T15.

"Della cittá di Quam Ceu[Cantão; Guangzhou Fu 廣州府]della Provintia di Quantum

[廣東省; Guangdongsheng] et d'alcune sue isole"

In M. RUGGIERI, Atlante della Cina, Archivio di Stato di Roma,

Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1993, T4.

"Prova Quam-tum" "De Sinarum Regni Provintia dicta Quam-tum"

(廣東省; Guangdongsheng, Província de Guangdong)

In M. RUGGIERI, Atlante della Cina, op. cit., T 13.

* Publicado in M. RUGGIERI, S. J., Atlante della Cina, Istituto Poligrafico e Zecca Dello Stato, Libreria dello Stato, Roma, 1993, pp.45-60 [N. E.].

NOTAS

(1)Il Cristianesimo cominciȯ ad essere introdotto in Cina dai nestoriani. Nel 635 Olopen e altri monaci giunsero in quel paese dall'Iran. Dall'allora capitale Changan, la odierna Xi'an (西安), il movimento si estese su larga parte dell'Impero fino al IX secolo, quando scomparve quasi del tutto per poi rifiorire tra XII e XIII secolo. Importante testimonianza di questa prima evangelizzazione cristiana della Cina è la stele di Xi'an, del 781, ma scoperta nel XVII secolo, che ci tramanda le vicende e le dottrine nestoriane dei secoli VII-VIII. Cfr. in proposito F. R. Sulle più ampie relazioni tra l'Occidente e l'Asia cfr. G. Tucci, Italia e Oriente, 1949.

(2)GIOVANNI DI PIAN DI CARPINE, Storia dei Mongoli a cura di P. Daffinà, C. Leonardi, M. C. Lungarotti, E. Ministȯ, L. Petech, Spoleto 1989. Nel testo si usa la dizione, più familiare ai geografi, "Giovanni da Pian del Carpine"; così pure per Cambaluc, più noto che "Cambalu".

(3)Cfr. R. ALMAGIÀ, Storia della Geografia, Torino 1962, p.210.

(4)Si tratta del Liber Secretorum Fidelium Crucis, dove, come afferma anche l'autore nel Proemio, vengono inserite quattros mappas mundi, una delle quali, denominata de mari et de terra, è certamente il planisfero circolare, del diametro di circa 27 cm, elaborato da Pietro Vesconte, cartografo genovese di nascita ma poi trasferitosi a Venezia, dove collaborȯ con il Sanudo.

(5)Cfr. R. ALMAGIÀ, L'Asia sudorientale presso Tolomeo, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», 1911, pp. 523-525; V. VOLZ, Sudost-Asien bei Ptolemas in «Geographische Zeitschrift», 1911, pp. 31-40.

(6)Cfr. A. MAIELLO, La descrizione del Sind in Istahari, 1991, in La cartografia geografica nel progresso delle conoscenze sull'Oriente, a cura di F. Bencardino, Napoli.

(7)Cfr. R. ALMAGIÀ, On the Cartographic Work of Francesco Rosselli, in «Imago Mundi», 1967, pp.27-34; L. Lago, "Notizie sull'Oriente tra '400 e '500", in BENCARDINO, cit. 1991. Anche nel planisfero del Contarini-Roselli si puȯ riscontrare una combinazione di elementi tolemaici con informazioni provenienti dai più recenti viaggi di esplorazione, anche se la rappresentazione dell'Asia è in Contarini-Roselli fedele a Tolomeo più di quanto lo sia in Ruysch o in altri cartografi del suo tempo. Comunque, le forti analogie riscontrate nei prodotti cartografici cinquecenteschi hanno indotto R. Almagià (Un planisfero italiano del 1506) a ritenere che, considerato come il problema principale fosse quello di collocare nella giusta posizione i toponimi noti attraverso il Polo o gli altri viaggiatori, i cartografi non ricavassero le loro rappresentazione da semplici fonti narrative, ma avessero anche una qualche fonte cartografica comune, a noi ignota.

(8)Cfr. L. LAGO, op. cit., G. FERRO, Pietro Coppo e la sua opera geografica, in «Rivista Geografica Italiana», 1990, pp. 243-249.

(9)La carta murale aveva dimensioni notevoli, di 2,80 x 6,00 m, ed era eccezionalmente orientata alla maniera cinese, con il Sud in alto.

(10)Cfr. G. FERRO, Le navigazioni lusitane nell'Atlantico e Cristoforo Colombo, Milano, 1948; R. BARCHIESI, Narrare la scoperta e la conquista dell'Oriente, in Cronache Iberiche di viaggio e di scoperta, Napoli, 1987. Secondo il Barchiesi, il «descubrimento», la scoperta, è stata vista dai Portoghesi come individuazione di rotte, come acquisizione di conoscenze e nuove tecniche finalizzata al raggiungimento di una meta prefissata, di un obiettivo già noto almeno nei suoi lineamenti generali. E questo obiettivo era innanzitutto la ricerca e la conquista di nuovi mercati, l'espansione delle attività mercantili attuate attraverso la eliminazione di nemici e concorrenti. Sul piano territoriale quindi erano importanti la conoscenza dei luoghi (e questo aspetto accomuna i portoghesi ai gesuiti) e il possesso di punti fortificati lungo le rotte principali.

Questi obiettivi trovano riscontro nella letteratura di viaggio portoghese del '400 e del '500 (G. E. de Zurara, D. Pacheco, G. Correia, T. Pire, J. de Barros) dove le scoperte significano innanzitutto scrupolosa annotazione di tutto ciȯ che si è visto, registrazione della realtà vista o conosciuta attraverso narrazioni altrui, inventariazione di prodotti, misurazione di distanze, oltre che glorificazione della nazione portoghese.

(11)Cfr. O. BALDACCI, Introduzione ad una mostra di atlanti antichi, in «Atti XX Congresso Geografico Italiano», vol. I, Roma, 1969, pp. 220-222.

(12)G. CARACI, La carta della Cina dell'Ortelio ed il suo autore, «Boll. Soc. Geogr. It. », 1935, pp. 671-673.

(13)J. KEUNING, The History of an Atlas, in «Imago Mundi», 1947, pp. 37-61. Con il Mercatore il termine. Atlas per la prima volta compare a indicare una raccolta sistematica di carte.

(14)Una seconda edizione apparve, a cura degli eredi di Rumoldo, a Düsseldorf nel 1602, ed altre edizioni, una quarantina circa, vennero successivamente curate tra il 1606 ed il 1640 da J. Hondius, cui andarono in proprietà i rami.

(15)Sulla produzione cartografica olandese in questo periodo cfr. J. KEUNING, XVIth Century Cartography in the Netherland, in «Imago Mundi», 1967, pp.35-63.

(16)Cfr. R. HAKLUYT, I viaggi inglesi (1494-1600), a cura di F. MARENCO, Milano, 1966, vol. I, p. 310.

(17)L'edizione apparsa il nome del Trigault enorme successo e per circa tre secoli non si ebbe più traccia del manoscritto del Ricci. Soltanto nel 1909 il Tacchi Venturi ebbe la fortuna di ritrovarlo, curandone la stampa in due volumi: il primo apparso nel 1911 con il titolo di Commentarij della Cina, il secondo nel 1913 con il titolo di Lettere. Il testo del Ricci venne pubblicato a cura di P. D'Elia nel 1942, in una nuova edizione critica integrata da nuove fonti così da coprire un periodo relativo agli anni 1579-1615.

(18)Alla metà del '500 il Ramusio per le sue Delle Navigationi et Viaggi si rifaceva a Marco Polo, a Giovanni da Pian del Carpine, a Odorico da Pordenome; appena cinquant'anni dopo uscirono numerose opere innovative come quelle di F. A. de San Roman (1603), di M. Estacio Do Amaral (1604), di F. Mendes Pinto (1620), di F. de Herrera Maldonado(1620).

(19)Cfr. D. PEROCCO, Fenomenologia dell'esotismo: viaggiatori italiani in Oriente, in L'Oriente, cit. S. BALLO ALAGNA, Il calabrese Germelli Carreri, in «Boll. Soc. Geogr. Ital. », 1991, pp. 319-328.

(20)Cfr. S. ZOLI, La Cina nella cultura italiana del Settecento, in V. Marazzi (a cura di), 1984. ID., L'immagine dell'Oriente nella cultura italiana da Marco Polo al Settecento, Torino, 1982.

(21)Cfr. T. V., I, 1911, pp. 141-142.

(22)Ibidem.

(23)Con l'attività cartografica intrapresa il Ricci si formȯ una più profonda conoscenza della Cina e conquistȯ interesse e stima dei cinesi; in una lettere inviate in Occidente egli confessȯ di essere considerato un nuovo Tolomeo.

(24)Cfr. A. MAGNAGHI, Il P. Matteo Ricci e la sua opera geografica, in «Riv. Geogr. It. », 1905, pp. 141-142.

(25)A proposito delle concezione cosmologiche dei cinesi così diceva il Ricci: «pensano che il cielo è vacuo e le stelle si muovono nel vacuo: non sapendo che cosa è aere, fanno cinque elementi; escludono l'aere, e mettono nei tre il metallo e li legno; pensano la terra essere quadrata, né per il pensiero gli entra che vi sono gli antipodi; l'eclisse della luna dicono che è perché, ponendosi per diametro la luna al sole, come spaurita perde la luce et il colore: il sole dicono che di notte si asconde sotto di un monte presso la terra [...]; restano admirati della sottigliezza delle ragioni che gli do, si in pruovare alcuna cosa di matematica come di filosophia, e delle cose della nostra fede, e pensano che sono io un mostro di sapere e che di nostra terra non usci mai simile, cosa che mi fa molto ridere» (cfr. F. D'ARELLI, "P. Matteo Ricci, S. J. le «coses absurdi» dell'astronomia cinese. Genesi, eredità ed influsso di un convincimento tra i secoli XVI-XVII," in Dall'Europa alla Cina: contributi per una storia dell'astronomia, a cura di I. IANNACCONE e A. TAMBURELLO, Napoli, 1990, pp. 89-90). Non va comunque sottaciuto che dopo la persecuzione di Galilei, anche il Ricci cominciȯ a trasmettere ai cinesi «cose absurde» in materia cosmologica.

(26)Cfr. J. NEEDHAM, W. LING, Scienza e Civiltà in Cina, vol. III, Torino 1985, pp. 497-590.

(27)Cfr. R. C. BEAZLEY, The Dawn of Modern Geography, Oxford, 1906, vol. II, pp. 12-13.

(28)Si tratta di un atlante cinese del XVI secolo formato da due volumi; nel primo volume sono contenute cinque pagine manoscritte di carattere introduttivo, «Breve interpretazione di questo primo libro di Geografia delle XV Province della Cina, fatta dichiarare da Francesco Carletti, stando in questo paese, a un Cinese suo amico». L'atlante giunse a Firenze nel 1606 ad opera del Carletti stesso. Oltre alle quindici carte delle province cinesi e a una carta generale, andata smarrita, il manoscritto contiene una descrizione del paese, utilizzata dal Carletti nei suoi «Ragionamenti» (Cfr. B. FRESCURA, A. MORI, Un atlante cinese della Magliabechiana di Firenze, in «Riv. Geogr. It. », 1894, pp. 417-422).

(29)La Cina del Ruggieri si estendeva fra il 18° e il 51° di lat. nord e fra il 128° ed il 170° long. est, meridianom fondamentale Isole Fortunate (coprendo quindici uno spazio di 33° di lat. e 26° di long.); quella del Martini fra 18°-41° lat. nord e 125°-151° long est (23° lat. e 26° long.); quello del Boym fra 17°-46° 30' lat. nord e 113°-143° long. est (30° lat.-30° long.); per Semedo, poi, la Cina non occupava più di 19° di lat. e 20° -22° di long.

(30)Il Sanson trovȯ notevoli difficoltà nella scelta di una carta della Cina da inserire ne L'Asie del 1602. Dal confronto di quattro carte a sua disposizione egli poteva notare come le differenze fossero rilevanti e riguardassero le caratteristiche delle province, la forma, la posizione degli oggetti geografici, la toponomastica, la superficie: per Semedo la Cina era come superficie uguale all'Europa, per Martini due volte l'Europa, per Boym tre volte l'Europa, per Ruggieri addirittura quattro volte l'Europa. Le ritenne inaffidabili al punto che nella edizione del 1652 si rivolse alla carta del Purchas, modificandola secondo i propri convincimenti. Ciȯ comunque indusse il Sanson a ritenere che erano necessari nuovi rilevamenti, che ebbero luogo tra il 1708 ed il 1716 e portarono alla carta del D'Anville, stampata nel 1717 e in seconda edizione nel 1721, in 32 tavole.

(31)Cfr. H. WALLIS, The Influence of Father Ricci on Far Eastern Cartography, in «Imago Mundi», 1965, pp.38-45.

(32)Tra XVII e XVIII secolo in Europa vennero alla luce nuovi prodotti cartografici sulla Cina, per merito di F. de Witt (Asia, Amsterdam, 1740 c.), di G. De Rossi (Mercurio Geografico, Roma, 1685-1692, con carte del Sanson e del Cantelli); di V. M. Coronelli (Corso Geografico Universale, Venezia, 1692, contenente 18 carte dell'Asia realizzate sulla base delle relazioni del padre gesuita F. Couplet), di G. Cantelli di Montorsello (dieci carte dell'Asia, fra cui una Asia nuovamente corretta et accresciuta 1682), in particolare sulla base delle informazioni desunte dai padri gesuiti G. Grueber, B. Goes, M. Martini nonché di M. Taverner, di R. de Vaugondy, di Seutter e Lotter, che continuarono la tradizione degli atlanti olandesi.

Nel 1711 Imperatore Kangxi fece eseguire una carta generale della Cina, sulla base dei lavori di rilevamento allora in corso per il grande atlante gesuita. Per ordine imperiale l'abate Matteo Ripa ne fece nel 1719 una riproduzione calcografica, di cui una copia esiste ancora nell'Istituto Universitario Orientale di Napoli (cfr. Petech, 1953).

**Professor ordinario di Geografia Economica. Preside della Facoltà degli Studi del Sannio-Benevento.

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